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sabato 27 aprile 2013

ALLE RADICI DELL'INSUCCESSO NEI NUOVI MERCATI: LE SCELTE TATTICHE

ALLE RADICI DELL'INSUCCESSO NEI NUOVI MERCATI: LE SCELTE TATTICHE


Abstract (ita)

L’articolo, partendo da alcune delle ragioni principali che hanno denotato la “crisi del marketing” dell’ultimo decennio (Fabris, 2008, Kotler, 2002, 2004), intende riportare il tema del fallimento del lancio dei prodotti in ottica internazionale, non imputandolo alle scelte strategiche, ma alla limitata capacità di applicazione tattica delle stesse. Le tattiche sono rimaste troppo lontane dalle suggestioni non-convenzionali e physioeconomiche, mentre si sono sovrapposte alle strategie d’impresa. Quindi, tra i motivi di fallimento, si trovano operazioni tattiche sovrapposte al ruolo strategico, come nel caso dell’illusorio dialogo non-convenzionale col consum-attore (Fabris, 2003), del fallimento delle nuove idee (Kotler et al. 2002, 2008, 2010) e in alcuni casi dei nuovi prodotti (Kotler, 2004; Pellicelli, 20105). L’articolo si muove sulla scorta di una bibliografia specifica che fa riferimento ai mutamenti in atto tra logiche internazionali e ragioni globali, tra aspetti economici delle imprese ed aspetti socio-antropologici del mercato/persone (fino a quegli aspetti physioeconomici straordinariamente e spesso involontariamente rivalutati dalla corrente non-convenzionale del marketing). Si intende infine mostrare come sia sempre più attuale la problematica della penetrazione commerciale slegata dal tema del confini nazionali o economico, e ci si stia muovendo invece a livello di barriere mentali e psicologiche (Pellicelli, 20105), barriere presenti tra le “nazioni antropologiche” dell’economia globale, o Tribù (Cova, 2003, Cova, Giordano, Pallera, 2008, Fabris, 2008; Fabris, Codeluppi, 2003). Tali tribù antropologiche hanno anche connotazioni nazionali, ma certamente le trascendono. Tutti questi elementi riconducono al marketing tattico, e non strategico e andrebbero soppesati per ciò che sono: strumenti operativi e non strategie.

Abstract (eng)

This article, moving from some among the main reasons that characterized the “marketing crisis” during the last decade (Fabris, 2008, Kotler, 2002, 2004), aims to investigate the causes of the failure of launch of products in the international market, accusing the limitated tactical skills more than long terms strategies. Tactics, often, lies too far from un-conventional and physioeconomical suggestions, taking the place of corporate strategies. The present articles is supported by a pecific bibliography about international and global mutation, about economics and socials and anthropologicals, that are recovered by un-convonvtional theories, so close to physioeconoical ones. We aim to demonstrate, finally, that any commercial penetrations are no more tied to concepts like national borders or economical borders, but the real barrier is a mind, behavioural, cultural border between social and anthropological groups (Pellicelli, 20105), and tribal barrier in global economy (Cova, 200301, Cova, Giordano, Pallera, 2008, Fabris, 2008; Fabris, Codeluppi, 2003). Such tribes  have national characters, but for sure they pass this line. All such elements bring back to tactical marketing, not strategic marketing, and should be evaluated like operative tools.



Sintesi Concettuale

Il fallimento dei nuovi prodotti in relazione alla penetrazione nei mercati e nei target;
Necessità di spostare l’attenzione dal mercato alle persone, nelle nuove regole globali;
Necessità di rivedere i parametri per penetrare i mercati in senso non convenzionale;
Necessità di sposarsi dalle strategie di marketing alle tattiche operative destinate al miglioramento delle performances internazionali.


Sommario

1. Scelte tattiche come discriminanti del fallimento e del successo delle strategie
p.2
1.1 Target
p.4
              1.2 Tattica e Targeting
p.5
2. Dal Marketing al Targeting Internazionale
p.6
3. Different Tactics, Same Success
p.9



1. Scelte tattiche come discriminanti del fallimento e del successo  strategico

Nel decennio in corso, 75 prodotti su 100 falliscono l’ingresso sul mercato e vengono conseguentemente cancellati dai programmi aziendali (Kotler, 2004). Kotler stesso ripercorrendo la strada del fallimento identifica la causa non nella strategia, ma nella mancanza di tattiche adeguate, di operatività. Tale fallimento vale:
·                    per prodotti nuovi lanciati su mercati esistenti (Kotler, 2005),
·                    per prodotti nuovi lanciati su mercati nuovi per l’impresa (Pellicelli, 20105; Kotler 2005; Kotler, Hermawan, Iwan, 2008; Valdani, Bertoli, 2006);
·                    per prodotti esistenti lanciati o riproposti come ringiovaniti con formule uguali o originali, ma su mercati nuovi (Pellicelli, 20105; Valdani, Bertoli, 2006; Bellante et al., 2002), secondo i parametri definiti dalla matrice di Ansoff.
A noi interessa spostare l’asse focale sul fatto che i mercati sono gruppi di persone, secondo i parametri non convenzionali e physioeconomici e pertanto impostare la chiave di lettura del fallimento dei prodotti per le persone: Il dato statistico già allarmante, si sovrappone quindi anche ad una quarta condizione:
·                    prodotti che falliscono dopo essere stati lanciati su un target diverso, su gruppi di persone differenti.
L’analisi di questo fallimento, ma anche la peculiarità di alcune azioni di mercato suggeriscono una soluzione, che non viene quasi mai chiaramente menzionata e per la quale sembra importante il contributo dato dalle strategie non-convenzionali come evoluzione della physioeconomia (Scaini, 2010) e che potrebbe invece venire riproposta come soluzione tattica ai fallimenti di cui è imputato unico –a torto, secondo noi- il marketing strategico contemporaneo (Fabris, 2008).

Tale  quarta condizione (che potrebbe trasformarsi in soluzione ai tre casi citati), consiste nel del lancio di prodotti –nuovi o esistenti/ringiovaniti- non necessariamente su mercati nuovi in senso stretto, ma su target differenti (indipendentemente dalla loro appartenenza geografica), con i suoi successi e i suoi fallimenti. In tal caso si debbono intendere i “mercati come conversazioni” (Locke et al. 2009), i target come persone e i mercati come gruppi sociali interattivi tra di loro e con l’azienda (a vario titolo Cova, Giordano, Pallera 2008; A.Boaretto, G.Noci, F.M.Pini , 2007; Cova, 2003; Locke et al. 2009; Kotler et al, 2002; Kotler, Hermawan, Iwan, 2008; Scaini 2010). Ecco che il marketing non-convenzionale e prima ancora la physioeconomia, offre uno strumento, a volte travisato, come vedremo, come soluzione.

1.1 Target

Parlando di target si è volutamente tralasciata la parola “segmento” proprio in quanto, a torto o a ragione che sia, essa è disusata dal marketing non-convenzionale (un po’ come la parola target e tutta la terminologia classica ed aziendale, Locke et al., 2009), anche se certo parlare di target o persone significa parlare dei loro segmenti di appartenenza, per quanto dinamici, a meno di particolari prodotti esclusivi o destinati ad un numero limitatissimo di persone (Pellicelli, 20105; Mosca, 2010; Cappellari, 2008; Tartaglia-Marinozzi, 2007), o, al limite, di gruppi sociali o tribù.
A questo punto ciò che cambia non è la sostanza (resta la necessità per l’impresa di raggruppare secondo parametri identificativi i propri clienti), quanto la possibilità –oramai visto il numero di fallimenti eccezionalmente alto si deve dire la necessità- di utilizzare variabili di segmentazione diverse dalle tradizionali (Pellicelli, 2010, Parker, 1997; Scaini, 2010) basate su strumenti, e non strumenti vestiti da finalità. In tale ottica si orienta anche la scelta tattica ivi proposta di rivolgersi al target/persona più che al mercato/gruppo (che resta certamente a livello strategico luogo economico, ma a livello operativo luogo di incontro) e proprio nella proporzione suggerita appare suggestiva, ma non corretta in assoluto, la riduzione operata da Locke: i mercati sono conversazioni, e anche –e soprattutto!- gruppi di persone/clienti che devono provvedere al profitto d’impresa: conversando, certo, basta che presto o tardi (meglio presto per ragioni di sbilancio finanziario) comprino l’oggetto di questi “dialoghi”. D’altronde la comunicazione è anche, alla sua base, il mero cum muneo, “mettere in comune” che sta alla radice di ogni scambio.
Tornando al dato, esso è allarmante economicamente per l’enorme spreco di risorse che va arginato capendo dove stanno le ragioni del fallimento del marketing: nella mancanza di tattiche (Kotler, 2004) e per quelle che sono le ambizioni prospettiche del marketing (Kotler, Jain, Maessincee, 2002) e per quelli che sono i programmi aziendali di espansione internazionale (Pellicelli, 20105). Se diventa difficile penetrare mercati noti, esistono una pluralità di fattori che rendono ancor più difficile penetrare quelli stranieri, specie se apportatori di novità sociali, antropologiche e di regole nuove per l’economia. Investigate le ragioni, vanno identificate delle soluzioni.
In un epoca in cui i mercati tendono a diventare il mercato (globale) e i nuovi mercati tendono a diventare nuovi target o gruppi di persone le cui caratteristiche non sono più distinzioni politiche ed economiche, ma sempre più sociali ed antropologiche (amplificate in tal senso dalla globalizzazione, Pellicelli 20105, Parker 1997; Fabris, Codeluppi, 1995, 2003; Fabris, 2001, 2008; Valdani, 2004), il fallimento dei prodotti nei nuovi mercati è principalmente il fallimento del dialogo con i nuovi target e delle idee e del dialogo con le persone (Cova, Giordano, Pallera, 2008; Kotler, Hermawan, Iwan, 2008).

1.2 Tattica e Targeting

La Tattica deve offrire una soluzione, la tattica che, secondo la dizione che già fu Sun Tzu (Buttignol, 2005) dovrebbe essere lo strumento valido e onnicomprensivo delle esigenze aziendali applicate all’ambiente che si dinamicizza in una relazione persone-in-azienda/persone-nel-mercato, e non più o non solo come azienda-mercato e domanda-offerta (Scaini 2010; Locke et al, 2001).

La soluzione dovrebbe prevedere una sorta di “separazione delle funzioni nella medesima area”, ossia lasciando la strategia di marketing ad interagire maggiormente e meglio con le aree chiave dell’impresa ed avvicinando il marketing strategico alla gestione finanziaria e rendendo il marketing operativo, di contro, più  tattico, più e meglio interattivo con il mercato ed i sui attori, in senso anche non convenzionale (Kotler et al.2002; 2010; Kotler 2005), slegandolo sì, a questo livello dal mero ritorno finanziario e portandolo a cercare altre benemerenze (Fabris, 2009) destinate ad essere strumento tattico ed operativo nella ricerca del profitto finanziario.

Certo sarebbe un’operazione che richiederebbe una maggiore coordinazione tra le due anime del marketing: attuare in modo nuovo operazioni destinate alla reale finalità dell’impresa, in un mercato: che sia guadagno, presidio tattico od operazione di riposizionamento, relegando in tal senso le suggestioni anarchiche del marketing non-convenzionale (che lo rendono in tal senso poco aziendale) all’ambito degli strumenti.

Mokwa (Mokwa, 1986; Vescovi, 2008) ha proposto uno strumento a matrice di analisi che pone a confronto diagnosi e prognosi relativamente a determinati possibili trend attuali e trend di sviluppo, col quale è anche possibile confrontare strategie di mercato (o strategie di persone) diverse e confrontarle tra loro, comprendendo come siano le tattiche operative e le motivazioni finali e causali delle strategie stesse a renderle meglio utilizzabili. Dati i i risultati suggeriti da Kotler e da Lucas Conley solo relativamente alle strategie di branding (2008), è abbastanza inutile insistere nel battere la strada delle strategie per i mercati, se esse necessitano di operatività verso le persone e se esse restano, come avviene, prive di operatività reale ed attuale.


2. Dal Marketing al Targeting Internazionale

Il marketing, in questa ottica bidimensionale, e tanto più quello internazionale, non dovrebbe limitarsi allo studio dei mercati e dei trend economici (quello strategico), o filosofeggiare sui target e sulle ragioni d’acquisto (quello tattico o operativo). In tal modo si pone infatti la ricerca come slegata dalla realtà e dalla applicazione (questa critica che spesso accomuna gli autori della scuola non-convenzionale), ma dovrebbe sapere focalizzare gli obiettivi aziendali e renderli raggiungibili attraverso l’operatività tattica destinata al guadagno. In merito quindi alla dimensione internazionale del marketing, Inter-nationes vale prima di tutto nel rapporto tra natio = gruppi sociali; prima che nel rapporto natio = stato nazionale in senso “moderno”. Natio in latino, d’altronde, indica proprio un gruppo di persone accomunate da aspetti antropologici comuni, come le tribù.

Questo processo tattico di avvicinamento al target/persona (strumento moderno ed innovativo fino a divenire non-convenzionale) lo si può ottenere tramite la classica segmentazione, oppure tramite la comunicazione con le persone (nel vero senso latino di cum+muneo, mettere in comune), con lo studio di sistemi di prodotto o di penetrazione e retail nuovi e più “tattici”, più vicini alle persone che non ai clienti, anche, fino all’apertura di canali di scambio nuovi e laterali (dialogici, di scambio di valori), secondo le varie ricette proposte a vario titolo dagli autori in bibliografia. E’ questo processo maggiormente operativo a rappresentare il differenziale tra fallimento e successo, essendo responsabile della applicazione delle strategie dell’impresa, ed è questa visione abbastanza nuova seppure basata su ricerche che originano da Montesquieu (1726) ad essere responsabile di una lettura non solo economica, ma non nettamente anarchica del mercato e delle persone.
Attraverso l’avvicinamento sincretico ad un mercato ed alle ragioni antropologicamente e culturalmente originali dei nuovi target (anche nel caso di mercati vecchi ma appunto target/segmenti nuovi), si esalta il rapporto con gli aspetti meno evidenti del contesto socio-economico, eppure così influenti: aspetti che sono in definitiva physioeconomici. La forza e la necessità quindi della personalizzazione di prodotti gamma e delta (Peliccelli, 20105; Kotler, Hermawan, Iwan, 2008; Cova, Giordano, Pallera 2008), in cui si customizza un prodotto, ma anche un approccio ad un gruppo di persone nuovo, sta alla base della cultura del gruppo/target (Parker, 1997), e sta alla base di operazioni di marketing strategico e targeting tattico: è questa l’istanza non-convenzionale, ma anche, prima, physioeconomica.

Bisogna, non come panacea, ma come strumento possibile, ricondurre la questione sui “nuovi” mercati o sui mercati “inter-nationes” al significato stesso di novità, di mercato e di internazionalizzazione fatte proprie dalla teoria Physioeconomica (Scaini, 2010; Pellicelli, 2010; Parker, 1997; e come bibliografia storica relativamente a concetti physioeconomici: Weber, 1904, 1906; Montesquieu, 1721). Gli input physioeconomici come la riscoperta di valori antropologici e fisici servono per segmentare il mercato internazionale in maniera più vicina alle persone a partire dalle variabili culturali nascoste o latenti (quelle che inesplorate sono parte rilevante del fallimento): variabili ambientali fisiche, sociali e culturali (per quanto riguarda la differenza di interazione sociale col prodotto soprattutto Ariely, 2008).

I mercati Internazionali non sono tali tanto o solo in quanto divisi da confini economici o doganali, e non sono nuovi in quanto mai penetrati prima, quanto perché le distinzioni economiche tra le persone (come le modalità di utilizzo di uno stesso prodotti in ambienti antropologicamente diversi) sono influenzate dalle condizioni della società e dall’ambiente umano di interazione con le sue regole comportamentali esclusive. Ecco che lanciare prodotti al netto di tali valorizzazioni dei mercati e quindi al netto della elevazione dei mercati a gruppi antropologici ed interattivi di persone (spesso gruppi proattivi verso i prodotti) significa quasi inevitabilmente andare incontro ad un fallimento. Si fuma, si beve birra e si guidano automobili in tutto il mondo, e ci si veste, si acquista, e si mangia: ma lo si fa in modo diverso a seconda di condizioni ambientali (in tal senso molta bibliografia storica relativa al commercio internazionale: Weber, 1904, 1906; Ricardo 1817), climatiche (Montesquieu, 1721) e sociali come la religione (Parker, 1997; Pellicelli 20105; Valdani, 2004; Rice, Al Mossawi, 2002).

E’ credenza popolare, certo non priva di fondamento quella secondo cui quando il marketing fallisce, i progetti aziendali falliscono. Se però si vuole intendere il marketing come la mera azione di piazzamento, non è necessariamente così, in tal caso il marketing fallisce come azione autonoma, come sostiene Fabris (2009). Se invece si vuole intendere il marketing (specie quello internazionale) come l’azione auto o etero propositiva di un’azienda sul mercato, azione a tutto tondo e cioè destinata al piazzamento attraverso il dialogo e alla costruzione di una relazione (come oggi è certamente più corretto interpretare il marketing, anche sulla scorta delle teoria non-convenzionali e degli stessi Kotler, Hermawan, Iwan, 2008) è invece esatto.
Infatti, come un prodotto, fattore centrale di ogni politica di marketing, e l’idea che ne sta alla base, rappresentano il concentrato delle attività aziendali e dei suoi processi economici, così il marketing è la concentrazione di differenti attività e processi aziendali, dove il processo tattico è il movimento verso un fine (vantaggioso, nel senso finanziario del termine, per l’azienda e vantaggioso economicamente per le persone/target).

Per ottenere che tale proposta di maggiore presenza tattica e minore distrazione strategia dagli obiettivi sia attuabile, occorre comprendere non solo le finalità strategiche di penetrazione-posizionamento-profitto (innegabili, intoccabili), ma saperle attuare proprio con strumenti adatti all’epoca ed ai cambiamenti vigorosi del target con approcci del tutto innovativi (Kotler, Hermawan, Iwan, 2008; A.Boaretto, G.Noci, F.M.Pini , 2007; Kotler, Jain, Maessincee, 2002), adattandosi a contesti antropologicamente vari nel panorama globale che finora ha schiacciato talune differenze mettendone in risalto altre e accentuandone alcune, prettamente culturali (Pride, Ferrel, 2005).

A questo punto, come augurano molti degli autori che compongono la bibliografia di riferimento dell’articolo, si può spostare l’attenzione dai mercati alle persone e dall’attenzione al profitto dell’impresa a alle altre benemerenze (Fabris, 2009), a patto che tali benemerenze siano il tramite tattico auspicato da Kotler (2005) e Kotler, Jain, Maessincee (2002) per il successo dei nuovi prodotti e la crescita economica dell’impresa nel mercato delle persone prima che in quello dei mercati, e non la finalità strategica come forse avventatamente proposto da Fabris stesso.


3. Different Tactics, Same Success

Nel corso degli ultimi anni si sono visti tre tipi principali di aziende che hanno affrontato il problema –seppure in maniera discontinua- della penetrazione tattica non convenzionale, cercando di stabilire “ponti” diversi tra se stesse e i loro target.
Che si trattasse di operazioni di point of purchase o promozione, di comunicazione o anche di prodotto, quando la strategia aziendale è stata correttamente messa in atto operativamente in maniera tale da esaltare il rapporto physioeconomico con le persone, i risultati hanno mostrato una possibile via da percorrere, non unica e non certo una panacea, ma uno dei mezzi possibili di marketing.
Se Guinness (Donatti, Scaini 2011; Gentile, Spiller, Noci, 2007; Pellicelli 20105) vende birre identiche, ma con gradazione diverse a seconda del contesto socio-economico ed antropologico (attitudine ed abitudine) e alcuni produttori automobilistici come Volkswagen propone accessoriamenti esclusivi per alcuni Paesi, dopo avere quasi rischiato il tracollo col veicolo globale argentino (Pelicelli, 20105) pure approvvigionandosi di componenti globalmente, è perché hanno compreso correttamente che molte delle differenze storiche e culturali attive tra i gruppi di persone raccolte in segmenti sono definibili sulla base di variabili culturali e physioeconomiche che trascendono il mercato in senso classico.
Provando ad entrare nel dettaglio di questi casi, si renderà chiaro il punto focale enunciato.

Guinness è il principale produttore di bitter irlandese, noto in tutto il mondo per la sua dark e per un suo marketing non convenzionale, che converge nella realizzazione di una vera factory experience a Dublino. Tale operazione prettamente tattica e non-convenzionale ha rivoltato la percezione valoriale nel gruppo target dei consumatori giovani (20-40), a cui Guinness era peraltro estranea. Tale experience ha creato un ponte comunicativo originale, permettendo al produttore di smarcarsi –soprattutto nel mercato anglosassone- dall’idea di “birra per vecchi in vecchi pub fumosi” (Donatti, Scaini 2011; Gentile, Spiller, Noci, 2007) e dall’idea che fosse appunto un prodotto per vecchi: uno strumento nuovo destinato a nuovi stili di vita intercuturali, che creasse quella “conversazione” in grado di dialogare di valori culturali ed antropologici, in una società in rapida evoluzione (quella del target) in cui si consuma birra e si va nei pub in un modo diverso dalla generazione precedente, parafrasando ancora quel noto passaggio di Montesquieu “non sono le persone ad essere diverse, sono gli ambienti”.

Analizzando le reazioni dei target a cui Guinness faceva riferimento si nota che se la risposta prima della factory exerience era legata alla parola “old”, dopo la tattica non convenzionale di value sharing on site e factory experience era diventata “unexpected”, sia che la birra fosse realmente conosciuta in quanto già degustata o meno.

Guinness non ha solo penetrato un mercato internazionale nuovo, ha soprattutto penetrato un target nuovo, con strumenti tattici originali, al di là della sua connotazione geo-politica, adattando tali strumenti alla strategia aziendale di espansione.

Altra tattica adottata per il rilancio su target nuovi (non solo più giovani, ma abituati ad un consumo differente del prodotto): la birra scura è stata lanciata come prodotto di lusso ed è stata introdotta la variazione della gradazione alcolica. Infatti anche se ufficialmente essa è uguale in tutto il mondo, in realtà cambia a seconda del contesto antropologico e dell’utilizzo che si fa della birra.
In Irlanda e Regno Unito dove il prodotto legato ad un uso popolare, essa è più bassa, mentre ad esempio in Germania è fissata al livello delle altre birre scure, in Italia (prodotto ancora più posizionato verso un consumo d’elite), essa segue una politica tipica della sua nicchia (gradazione alta per consumi limitati). Il medesimo prodotto si adatta a diversi parametri di consumo di carattere tradizionale, sociale, economico.


Parimenti Volkswagen e Opel, che producono con un sistema di global outsourcing molto avanzato (Pellicelli, 20105), arrivano a proporre tanto l’automobile globale, quanto accessoriamente assolutamente “locali” per i gusti di singoli mercati: colori, accessorriamenti e modelli (a volte gli stessi nomi) seguono logiche locali fino a diventare g-locali nel senso di inseguire uno specifico target, ovunque esso si trovi.

Per esempio, il modello berlina della nuova Astra (2012) è espressamente sviluppato per i mercati dell’ex URSS, di cui segue il gusto del target. La vecchia Ford Nova, invece, venne sviluppata come veicolo per i mercati sud americani, proponendo come nome il termine latino nova (nuova). Però, e quic’è  il limite di non dialogare (correttamente) ed investigare il mercato e di restarne entomologicamente distante, in spagnolo (la lingua più diffusa nel contesto geografico target) “nova” significa “non va non funziona”: poco adatto ad un automobile! Il paragone con le strategie FIAT/Alfa Romeo è suggestivo: anche non cambiando i termini della comunicazione si può esaltare la percezione del target.
La comprensione delle differenze infatti può portare anche alla realizzazione di tattiche diverse destinate al medesimo risultato: a livello di comunicazione e pubblicità, per esempio, FIAT produceva per la sua UNO messaggi diversi a seconda dei contesti culturali/mercati, mentre nel medesimo gruppo industriale, a destinandosi a un target diverso, Alfa Romeo produce lo stesso messaggio per gruppi culturali diversi/mercati, ma in grado di rievocare significati diversi per lo stesso veicolo (Alfa Brera), adattando solo le note tecniche alle lingue diverse. Sono i subliminali linguistici ad essere diversi, diversamente evocativi e diversamente interpretati (Pellicelli, 20105 e Scaini, in una ricerca commissionata nel 2008[1]).

Alfa Romeo, oltre al mantenimento del messaggio che evoca ricordi diversi, ha anche azzardato coraggiosamente un cobranding estremamente valoriale per lanciare i propri prodotti su due target differenti e diffidenti: i motociclisti e le donne. Per i primi Alfa Romeo ha pensato la “Alfa 147 Ducati Motors”, per le seconde la Alfa 147 “CnC – cOstume National”, in colore bianco o nero, ripensando un prodotto rimasto al 99% inalterato, per un target sensibile ad un sistema valoriale diverso e, almeno nel secondo caso, complesso ed altamente emozionale (Scaini, 2008).





BIBLIOGRAFIA


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[1] In questa ricerca si era scoperto che gli italiani ed i tedeschi associavano alla parola “Brera” due significati radicalmente diversi, da “quartiere di Milano” a “quartiere bohemiene” i primi, a “pinacoteca” e “arte” i secondi.

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