ALLE RADICI
DELL'INSUCCESSO NEI NUOVI MERCATI: LE SCELTE TATTICHE
Abstract (ita)
L’articolo, partendo
da alcune delle ragioni principali che hanno denotato la “crisi del marketing”
dell’ultimo decennio (Fabris, 2008, Kotler, 2002, 2004), intende riportare il tema del fallimento del lancio dei
prodotti in ottica internazionale, non imputandolo alle scelte strategiche, ma
alla limitata capacità di applicazione tattica delle stesse. Le
tattiche sono rimaste troppo lontane dalle suggestioni non-convenzionali e
physioeconomiche, mentre si sono sovrapposte alle strategie d’impresa. Quindi,
tra i motivi di fallimento, si trovano operazioni tattiche sovrapposte al ruolo
strategico, come nel caso dell’illusorio dialogo non-convenzionale col consum-attore
(Fabris, 2003), del fallimento delle nuove idee (Kotler et al. 2002, 2008,
2010) e in alcuni casi dei nuovi prodotti (Kotler, 2004; Pellicelli, 20105).
L’articolo si muove sulla scorta di una bibliografia specifica che fa
riferimento ai mutamenti in atto tra logiche internazionali e ragioni globali,
tra aspetti economici delle imprese ed aspetti socio-antropologici del mercato/persone
(fino a quegli aspetti physioeconomici straordinariamente e spesso involontariamente
rivalutati dalla corrente non-convenzionale del marketing). Si intende infine mostrare
come sia sempre più attuale la problematica della penetrazione commerciale slegata
dal tema del confini nazionali o economico, e ci si stia muovendo invece a
livello di barriere mentali e psicologiche (Pellicelli, 20105),
barriere presenti tra le “nazioni antropologiche” dell’economia globale, o
Tribù (Cova, 2003, Cova, Giordano, Pallera, 2008, Fabris, 2008; Fabris,
Codeluppi, 2003). Tali tribù antropologiche hanno anche connotazioni nazionali,
ma certamente le trascendono. Tutti questi elementi riconducono al marketing
tattico, e non strategico e andrebbero soppesati per ciò che sono: strumenti
operativi e non strategie.
Abstract (eng)
This article, moving from some among the main
reasons that characterized the “marketing crisis” during the last decade (Fabris,
2008, Kotler, 2002, 2004), aims to
investigate the causes of the failure of launch of products in the
international market, accusing the limitated tactical skills more than long
terms strategies. Tactics, often, lies too far from un-conventional and
physioeconomical suggestions, taking the place of corporate strategies. The
present articles is supported by a pecific bibliography about international and
global mutation, about economics and socials and anthropologicals, that are
recovered by un-convonvtional theories, so close to physioeconoical ones. We
aim to demonstrate, finally, that any commercial penetrations are no more tied
to concepts like national borders or economical borders, but the real barrier
is a mind, behavioural, cultural border between social and anthropological
groups (Pellicelli, 20105), and tribal barrier in global economy
(Cova, 200301, Cova, Giordano, Pallera, 2008, Fabris, 2008; Fabris, Codeluppi,
2003). Such tribes have national
characters, but for sure they pass this line. All such elements bring back to
tactical marketing, not strategic marketing, and should be evaluated like
operative tools.
Sintesi Concettuale
Il fallimento dei nuovi prodotti in relazione alla penetrazione nei
mercati e nei target;
Necessità di spostare l’attenzione dal mercato alle persone, nelle
nuove regole globali;
Necessità di rivedere i parametri per penetrare i mercati in senso non
convenzionale;
Necessità di sposarsi dalle strategie di marketing alle tattiche operative
destinate al miglioramento delle performances internazionali.
Sommario
1. Scelte tattiche come discriminanti del
fallimento e del successo delle strategie
|
p.2
|
1.1 Target
|
p.4
|
1.2 Tattica e
Targeting
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p.5
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2. Dal Marketing al Targeting Internazionale
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p.6
|
3. Different Tactics, Same Success
|
p.9
|
1. Scelte tattiche come discriminanti del
fallimento e del successo strategico
Nel decennio in corso, 75 prodotti su 100 falliscono
l’ingresso sul mercato e vengono conseguentemente cancellati dai programmi
aziendali (Kotler, 2004). Kotler stesso ripercorrendo la strada del fallimento
identifica la causa non nella strategia, ma nella mancanza di tattiche
adeguate, di operatività. Tale fallimento vale:
·
per prodotti nuovi lanciati su mercati esistenti
(Kotler, 2005),
·
per prodotti nuovi lanciati su mercati nuovi per
l’impresa (Pellicelli, 20105; Kotler 2005; Kotler, Hermawan, Iwan,
2008; Valdani, Bertoli, 2006);
·
per prodotti esistenti lanciati o riproposti come
ringiovaniti con formule uguali o originali, ma su mercati nuovi (Pellicelli,
20105; Valdani, Bertoli, 2006; Bellante et al., 2002), secondo i
parametri definiti dalla matrice di Ansoff.
A noi interessa spostare l’asse focale sul fatto che i
mercati sono gruppi di persone, secondo i parametri non convenzionali e
physioeconomici e pertanto impostare la chiave di lettura del fallimento dei
prodotti per le persone: Il dato statistico già allarmante, si sovrappone
quindi anche ad una quarta condizione:
·
prodotti che falliscono dopo essere stati
lanciati su un target diverso, su gruppi di persone differenti.
L’analisi di questo fallimento, ma anche la peculiarità di alcune
azioni di mercato suggeriscono una soluzione, che non viene quasi mai chiaramente
menzionata e per la quale sembra importante il contributo dato dalle strategie
non-convenzionali come evoluzione della physioeconomia (Scaini, 2010) e che
potrebbe invece venire riproposta come soluzione tattica ai fallimenti di cui è
imputato unico –a torto, secondo noi- il marketing strategico contemporaneo (Fabris,
2008).
Tale quarta
condizione (che potrebbe trasformarsi in soluzione ai tre casi citati), consiste
nel del lancio di prodotti –nuovi o esistenti/ringiovaniti- non necessariamente
su mercati nuovi in senso stretto, ma su target differenti (indipendentemente
dalla loro appartenenza geografica), con i suoi successi e i suoi fallimenti.
In tal caso si debbono intendere i “mercati come conversazioni” (Locke et al.
2009), i target come persone e i mercati come gruppi sociali interattivi tra di
loro e con l’azienda (a vario titolo Cova, Giordano, Pallera 2008; A.Boaretto,
G.Noci, F.M.Pini , 2007; Cova, 2003; Locke et al. 2009; Kotler et al, 2002;
Kotler, Hermawan, Iwan, 2008; Scaini 2010). Ecco che il marketing
non-convenzionale e prima ancora la physioeconomia, offre uno strumento, a
volte travisato, come vedremo, come soluzione.
1.1 Target
Parlando di target si è volutamente tralasciata la
parola “segmento” proprio in quanto, a torto o a ragione che sia, essa è
disusata dal marketing non-convenzionale (un po’ come la parola target e tutta
la terminologia classica ed aziendale, Locke et al., 2009), anche se certo
parlare di target o persone significa parlare dei loro segmenti di
appartenenza, per quanto dinamici, a meno di particolari prodotti esclusivi o
destinati ad un numero limitatissimo di persone (Pellicelli, 20105;
Mosca, 2010; Cappellari, 2008; Tartaglia-Marinozzi, 2007), o, al limite, di
gruppi sociali o tribù.
A questo punto ciò che cambia non è la sostanza (resta
la necessità per l’impresa di raggruppare secondo parametri identificativi i
propri clienti), quanto la possibilità –oramai visto il numero di fallimenti
eccezionalmente alto si deve dire la necessità- di utilizzare variabili di
segmentazione diverse dalle tradizionali (Pellicelli, 2010, Parker, 1997;
Scaini, 2010) basate su strumenti, e non strumenti vestiti da finalità. In tale
ottica si orienta anche la scelta tattica ivi proposta di rivolgersi al
target/persona più che al mercato/gruppo (che resta certamente a livello
strategico luogo economico, ma a livello operativo luogo di incontro) e proprio
nella proporzione suggerita appare suggestiva, ma non corretta in assoluto, la
riduzione operata da Locke: i mercati sono conversazioni, e anche –e
soprattutto!- gruppi di persone/clienti che devono provvedere al profitto
d’impresa: conversando, certo, basta che presto o tardi (meglio presto per
ragioni di sbilancio finanziario) comprino l’oggetto di questi “dialoghi”.
D’altronde la comunicazione è anche, alla sua base, il mero cum muneo, “mettere in comune” che sta alla
radice di ogni scambio.
Tornando al dato, esso è allarmante economicamente per
l’enorme spreco di risorse che va arginato capendo dove stanno le ragioni del
fallimento del marketing: nella mancanza di tattiche (Kotler, 2004) e per
quelle che sono le ambizioni prospettiche del marketing (Kotler, Jain,
Maessincee, 2002) e per quelli che sono i programmi aziendali di espansione
internazionale (Pellicelli, 20105). Se diventa difficile penetrare
mercati noti, esistono una pluralità di fattori che rendono ancor più difficile
penetrare quelli stranieri, specie se apportatori di novità sociali,
antropologiche e di regole nuove per l’economia. Investigate le ragioni, vanno
identificate delle soluzioni.
In un epoca in cui i mercati tendono a diventare il
mercato (globale) e i nuovi mercati tendono a diventare nuovi target o gruppi
di persone le cui caratteristiche non sono più distinzioni politiche ed
economiche, ma sempre più sociali ed antropologiche (amplificate in tal senso
dalla globalizzazione, Pellicelli 20105, Parker 1997; Fabris,
Codeluppi, 1995, 2003; Fabris, 2001, 2008; Valdani, 2004), il fallimento dei
prodotti nei nuovi mercati è principalmente il fallimento del dialogo con i
nuovi target e delle idee e del dialogo con le persone (Cova, Giordano,
Pallera, 2008; Kotler, Hermawan, Iwan, 2008).
1.2 Tattica e Targeting
La Tattica deve offrire una soluzione, la tattica che,
secondo la dizione che già fu Sun Tzu (Buttignol, 2005) dovrebbe essere lo
strumento valido e onnicomprensivo delle esigenze aziendali applicate
all’ambiente che si dinamicizza in una relazione persone-in-azienda/persone-nel-mercato,
e non più o non solo come azienda-mercato e domanda-offerta (Scaini 2010; Locke
et al, 2001).
La soluzione dovrebbe prevedere una sorta di “separazione delle funzioni
nella medesima area”, ossia lasciando la strategia di marketing ad interagire
maggiormente e meglio con le aree chiave dell’impresa ed avvicinando il
marketing strategico alla gestione finanziaria e rendendo il marketing
operativo, di contro, più tattico, più e
meglio interattivo con il mercato ed i sui attori, in senso anche non
convenzionale (Kotler et al.2002; 2010; Kotler 2005), slegandolo sì, a questo
livello dal mero ritorno finanziario e portandolo a cercare altre benemerenze
(Fabris, 2009) destinate ad essere strumento tattico ed operativo nella ricerca
del profitto finanziario.
Certo sarebbe un’operazione che richiederebbe una maggiore
coordinazione tra le due anime del marketing: attuare in modo nuovo operazioni
destinate alla reale finalità dell’impresa, in un mercato: che sia guadagno,
presidio tattico od operazione di riposizionamento, relegando in tal senso le
suggestioni anarchiche del marketing non-convenzionale (che lo rendono in tal
senso poco aziendale) all’ambito degli strumenti.
Mokwa (Mokwa, 1986; Vescovi, 2008) ha proposto uno strumento a matrice
di analisi che pone a confronto diagnosi e prognosi relativamente a determinati
possibili trend attuali e trend di sviluppo, col quale è anche possibile
confrontare strategie di mercato (o strategie di persone) diverse e confrontarle
tra loro, comprendendo come siano le tattiche operative e le motivazioni finali
e causali delle strategie stesse a renderle meglio utilizzabili. Dati i i
risultati suggeriti da Kotler e da Lucas Conley solo relativamente alle
strategie di branding (2008), è abbastanza inutile insistere nel battere la
strada delle strategie per i mercati, se esse necessitano di operatività verso le
persone e se esse restano, come avviene, prive di operatività reale ed attuale.
2. Dal Marketing al Targeting Internazionale
Il marketing, in questa ottica bidimensionale, e tanto
più quello internazionale, non dovrebbe limitarsi allo studio dei mercati e dei
trend economici (quello strategico), o filosofeggiare sui target e sulle
ragioni d’acquisto (quello tattico o operativo). In tal modo si pone infatti la
ricerca come slegata dalla realtà e dalla applicazione (questa critica che
spesso accomuna gli autori della scuola non-convenzionale), ma dovrebbe sapere focalizzare
gli obiettivi aziendali e renderli raggiungibili attraverso l’operatività
tattica destinata al guadagno. In merito quindi alla dimensione internazionale
del marketing, Inter-nationes vale
prima di tutto nel rapporto tra natio
= gruppi sociali; prima che nel rapporto natio
= stato nazionale in senso “moderno”. Natio
in latino, d’altronde, indica proprio un gruppo di persone accomunate da
aspetti antropologici comuni, come le tribù.
Questo processo tattico di avvicinamento al
target/persona (strumento moderno ed innovativo fino a divenire
non-convenzionale) lo si può ottenere tramite la classica segmentazione, oppure
tramite la comunicazione con le persone (nel vero senso latino di cum+muneo, mettere in comune), con lo studio
di sistemi di prodotto o di penetrazione e retail nuovi e più “tattici”, più
vicini alle persone che non ai clienti, anche, fino all’apertura di canali di
scambio nuovi e laterali (dialogici, di scambio di valori), secondo le varie
ricette proposte a vario titolo dagli autori in bibliografia. E’ questo
processo maggiormente operativo a rappresentare il differenziale tra fallimento
e successo, essendo responsabile della applicazione delle strategie
dell’impresa, ed è questa visione abbastanza nuova seppure basata su ricerche
che originano da Montesquieu (1726) ad essere responsabile di una lettura non
solo economica, ma non nettamente anarchica del mercato e delle persone.
Attraverso l’avvicinamento sincretico ad un mercato ed
alle ragioni antropologicamente e culturalmente originali dei nuovi target
(anche nel caso di mercati vecchi ma appunto target/segmenti nuovi), si esalta
il rapporto con gli aspetti meno evidenti del contesto socio-economico, eppure
così influenti: aspetti che sono in definitiva physioeconomici. La forza e la
necessità quindi della personalizzazione di prodotti gamma e delta (Peliccelli,
20105; Kotler, Hermawan, Iwan, 2008; Cova, Giordano, Pallera 2008), in cui si
customizza un prodotto, ma anche un approccio ad un gruppo di persone nuovo, sta
alla base della cultura del gruppo/target (Parker, 1997), e sta alla base di operazioni di marketing strategico e
targeting tattico: è questa l’istanza non-convenzionale, ma anche, prima, physioeconomica.
Bisogna, non come panacea, ma come strumento
possibile, ricondurre la questione sui “nuovi” mercati o sui mercati “inter-nationes”
al significato stesso di novità, di mercato e di internazionalizzazione fatte
proprie dalla teoria Physioeconomica (Scaini, 2010; Pellicelli, 2010; Parker, 1997;
e come bibliografia storica relativamente a concetti physioeconomici: Weber, 1904,
1906; Montesquieu, 1721). Gli input physioeconomici come la riscoperta di
valori antropologici e fisici servono per segmentare il mercato internazionale
in maniera più vicina alle persone a partire dalle variabili culturali nascoste
o latenti (quelle che inesplorate sono parte rilevante del fallimento):
variabili ambientali fisiche, sociali e culturali (per quanto riguarda la
differenza di interazione sociale col prodotto soprattutto Ariely, 2008).
I mercati Internazionali non sono tali tanto o solo in
quanto divisi da confini economici o doganali, e non sono nuovi in quanto mai
penetrati prima, quanto perché le distinzioni economiche tra le persone (come
le modalità di utilizzo di uno stesso prodotti in ambienti antropologicamente
diversi) sono influenzate dalle condizioni della società e dall’ambiente umano
di interazione con le sue regole comportamentali esclusive. Ecco che lanciare
prodotti al netto di tali valorizzazioni dei mercati e quindi al netto della
elevazione dei mercati a gruppi antropologici ed interattivi di persone (spesso
gruppi proattivi verso i prodotti) significa quasi inevitabilmente andare
incontro ad un fallimento. Si fuma, si beve birra e si guidano automobili in
tutto il mondo, e ci si veste, si acquista, e si mangia: ma lo si fa in modo
diverso a seconda di condizioni ambientali (in tal senso molta bibliografia
storica relativa al commercio internazionale: Weber, 1904, 1906; Ricardo 1817),
climatiche (Montesquieu, 1721) e sociali come la religione (Parker, 1997;
Pellicelli 20105; Valdani, 2004; Rice, Al Mossawi, 2002).
E’ credenza popolare, certo non priva di fondamento
quella secondo cui quando il marketing fallisce, i progetti aziendali falliscono.
Se però si vuole intendere il marketing come la mera azione di piazzamento, non
è necessariamente così, in tal caso il marketing fallisce come azione autonoma,
come sostiene Fabris (2009). Se invece si vuole intendere il marketing (specie
quello internazionale) come l’azione auto o etero propositiva di un’azienda sul
mercato, azione a tutto tondo e cioè destinata al piazzamento attraverso il
dialogo e alla costruzione di una relazione (come oggi è certamente più corretto
interpretare il marketing, anche sulla scorta delle teoria non-convenzionali e
degli stessi Kotler, Hermawan, Iwan, 2008) è invece esatto.
Infatti, come un prodotto, fattore centrale di ogni
politica di marketing, e l’idea che ne sta alla base, rappresentano il
concentrato delle attività aziendali e dei suoi processi economici, così il
marketing è la concentrazione di differenti attività e processi aziendali, dove
il processo tattico è il movimento verso un fine (vantaggioso, nel senso
finanziario del termine, per l’azienda e vantaggioso economicamente per le
persone/target).
Per ottenere che tale proposta di maggiore presenza
tattica e minore distrazione strategia dagli obiettivi sia attuabile, occorre
comprendere non solo le finalità strategiche di
penetrazione-posizionamento-profitto (innegabili, intoccabili), ma saperle attuare
proprio con strumenti adatti all’epoca ed ai cambiamenti vigorosi del target
con approcci del tutto innovativi (Kotler, Hermawan, Iwan, 2008; A.Boaretto,
G.Noci, F.M.Pini , 2007; Kotler, Jain, Maessincee, 2002), adattandosi a
contesti antropologicamente vari nel panorama globale che finora ha schiacciato
talune differenze mettendone in risalto altre e accentuandone alcune,
prettamente culturali (Pride, Ferrel, 2005).
A questo punto, come augurano molti degli autori che compongono la
bibliografia di riferimento dell’articolo, si può spostare l’attenzione dai
mercati alle persone e dall’attenzione al profitto dell’impresa a alle altre
benemerenze (Fabris, 2009), a patto che tali benemerenze siano il tramite tattico
auspicato da Kotler (2005) e Kotler, Jain, Maessincee (2002) per il successo
dei nuovi prodotti e la crescita economica dell’impresa nel mercato delle
persone prima che in quello dei mercati, e non la finalità strategica come
forse avventatamente proposto da Fabris stesso.
3. Different Tactics, Same Success
Nel corso degli ultimi anni si sono visti tre tipi principali di
aziende che hanno affrontato il problema –seppure in maniera discontinua- della
penetrazione tattica non convenzionale, cercando di stabilire “ponti” diversi
tra se stesse e i loro target.
Che si trattasse di operazioni di point of purchase o promozione, di
comunicazione o anche di prodotto, quando la strategia aziendale è stata
correttamente messa in atto operativamente in maniera tale da esaltare il
rapporto physioeconomico con le persone, i risultati hanno mostrato una
possibile via da percorrere, non unica e non certo una panacea, ma uno dei
mezzi possibili di marketing.
Se Guinness (Donatti, Scaini 2011; Gentile, Spiller,
Noci, 2007; Pellicelli 20105) vende birre identiche, ma con
gradazione diverse a seconda del contesto socio-economico ed antropologico
(attitudine ed abitudine) e alcuni produttori automobilistici come Volkswagen
propone accessoriamenti esclusivi per alcuni Paesi, dopo avere quasi rischiato
il tracollo col veicolo globale argentino (Pelicelli, 20105) pure
approvvigionandosi di componenti globalmente, è perché hanno compreso
correttamente che molte delle differenze
storiche e culturali attive tra i gruppi di persone raccolte in segmenti sono
definibili sulla base di variabili culturali e physioeconomiche che trascendono
il mercato in senso classico.
Provando ad entrare nel dettaglio di questi casi, si renderà
chiaro il punto focale enunciato.
Guinness è il principale produttore di bitter
irlandese, noto in tutto il mondo per la sua dark e per un suo marketing non
convenzionale, che converge nella realizzazione di una vera factory experience
a Dublino. Tale operazione prettamente tattica e non-convenzionale ha rivoltato
la percezione valoriale nel gruppo target dei consumatori giovani (20-40), a
cui Guinness era peraltro estranea. Tale experience ha creato un ponte
comunicativo originale, permettendo al produttore di smarcarsi –soprattutto nel
mercato anglosassone- dall’idea di “birra per vecchi in vecchi pub fumosi” (Donatti,
Scaini 2011; Gentile, Spiller, Noci, 2007) e dall’idea che fosse appunto un
prodotto per vecchi: uno strumento nuovo destinato a nuovi stili di vita
intercuturali, che creasse quella “conversazione” in grado di dialogare di
valori culturali ed antropologici, in una società in rapida evoluzione (quella
del target) in cui si consuma birra e si va nei pub in un modo diverso dalla
generazione precedente, parafrasando ancora quel noto passaggio di Montesquieu
“non sono le persone ad essere diverse,
sono gli ambienti”.
Analizzando le reazioni dei target a cui Guinness faceva riferimento
si nota che se la risposta prima della factory exerience era legata alla parola
“old”, dopo la tattica non convenzionale di value sharing on site e factory
experience era diventata “unexpected”, sia che la birra fosse realmente
conosciuta in quanto già degustata o meno.
Guinness non ha solo
penetrato un mercato internazionale nuovo, ha soprattutto penetrato un target nuovo,
con strumenti tattici originali, al di là della sua connotazione geo-politica,
adattando tali strumenti alla strategia aziendale di espansione.
Altra tattica adottata per il rilancio su target nuovi (non solo più
giovani, ma abituati ad un consumo differente del prodotto): la birra scura è
stata lanciata come prodotto di lusso ed è stata introdotta la variazione della
gradazione alcolica. Infatti anche se ufficialmente essa è uguale in tutto il
mondo, in realtà cambia a seconda del contesto antropologico e dell’utilizzo
che si fa della birra.
In Irlanda e Regno Unito dove il prodotto legato ad un uso popolare,
essa è più bassa, mentre ad esempio in Germania è fissata al livello delle
altre birre scure, in Italia (prodotto ancora più posizionato verso un consumo
d’elite), essa segue una politica tipica della sua nicchia (gradazione alta per
consumi limitati). Il medesimo prodotto si adatta a diversi parametri di consumo
di carattere tradizionale, sociale, economico.
Parimenti Volkswagen e Opel, che producono con un sistema di global
outsourcing molto avanzato (Pellicelli, 20105), arrivano a proporre
tanto l’automobile globale, quanto accessoriamente assolutamente “locali” per i
gusti di singoli mercati: colori, accessorriamenti e modelli (a volte gli
stessi nomi) seguono logiche locali fino a diventare g-locali nel senso di
inseguire uno specifico target, ovunque esso si trovi.
Per esempio, il modello berlina della nuova Astra (2012) è
espressamente sviluppato per i mercati dell’ex URSS, di cui segue il gusto del
target. La vecchia Ford Nova, invece, venne sviluppata come veicolo per i
mercati sud americani, proponendo come nome il termine latino nova (nuova).
Però, e quic’è il limite di non
dialogare (correttamente) ed investigare il mercato e di restarne
entomologicamente distante, in spagnolo (la lingua più diffusa nel contesto
geografico target) “nova” significa “non va non funziona”: poco adatto ad un
automobile! Il paragone con le strategie FIAT/Alfa Romeo è suggestivo: anche
non cambiando i termini della comunicazione si può esaltare la percezione del
target.
La comprensione delle differenze infatti può portare
anche alla realizzazione di tattiche diverse destinate al medesimo risultato: a
livello di comunicazione e pubblicità, per esempio, FIAT produceva per la sua
UNO messaggi diversi a seconda dei contesti culturali/mercati, mentre nel
medesimo gruppo industriale, a destinandosi a un target diverso, Alfa Romeo
produce lo stesso messaggio per gruppi culturali diversi/mercati, ma in grado
di rievocare significati diversi per lo stesso veicolo (Alfa Brera), adattando
solo le note tecniche alle lingue diverse. Sono i subliminali linguistici ad
essere diversi, diversamente evocativi e diversamente interpretati (Pellicelli,
20105 e Scaini, in una ricerca commissionata nel 2008[1]).
Alfa Romeo, oltre al mantenimento del messaggio che evoca ricordi
diversi, ha anche azzardato coraggiosamente un cobranding estremamente
valoriale per lanciare i propri prodotti su due target differenti e diffidenti:
i motociclisti e le donne. Per i primi Alfa Romeo ha pensato la “Alfa 147
Ducati Motors”, per le seconde la Alfa 147 “CnC – cOstume National”, in colore
bianco o nero, ripensando un prodotto rimasto al 99% inalterato, per un target
sensibile ad un sistema valoriale diverso e, almeno nel secondo caso, complesso
ed altamente emozionale (Scaini, 2008).
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M. Weber (1904), “L’etica
protestante e lo spirito del capitalismo”, Rizzoli, Milano
M.Weber (1906), “Le sette protestanti e lo spirito del capitalismo”
Penguin Books, Londra
[1] In questa ricerca si era scoperto che gli italiani ed i tedeschi
associavano alla parola “Brera” due significati radicalmente diversi, da
“quartiere di Milano” a “quartiere bohemiene” i primi, a “pinacoteca” e “arte”
i secondi.
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