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venerdì 9 marzo 2012

Marketing, Prezzo e Valore

Quanto costa...? domanda chiave di ogni acquisto.
Il problema del prezzo (e del costo che ne è alla base) è di natura così complessa che non se ne viene a capo se non dopo studi complessi, lunghi e spesso multisettoriali. Ma il DeBono, maestro kotleriano di creatività, ci mostra vie più difficili da illustrare che da percorrere, almeno per chi è allenato a risolvere problemi.

Alla base del prezzo e del quanto costa c'è dunque il costo, insito nella domanda stessa, ma interpretabile diversamente a seconda dell'ottica: chi vende assegna un significato, chi comra un altro.

Chi vende dovrebbe proporre valore, chi acquista deve essere spronato a non assegnarne uno (solo) monetario.

Quel costo che infatti per un'azienda è la base del prezzo ma che - e qui scattano l'economia comportamentale e il pensiero laterale- per il mercato (per l'acquirente) è invece dato da costo aziendale + ricarico, quindi sensibilmente più alto. Il prezzo di acquisto di un bene è un costo.

La soluzione sta nella soluzione (del problema): alla domanda non dovremmo rispondere se non con la risposta più ovvia! P:V=C:G

Il prezzo sta al Valore come il Costo sta al Guadagno.

"Quanto Costa" è una domanda che nasconde, insito in sè, il quanto vale qualcosa, quindi la risposta che in realtà l'acquirente (potenziale) di qualcosa si aspetta è sapere il valore di ciò che si sta per acquistare.

Tale valore è ovviamente misurato in forma monetaria, la più semplie ed immediata forma di valutazione economica (non meramente finanziaria), ed anche ovviamente la più approssimativa e pericolosa, anche perchè il vil denaro dice tutto a chi vende e (quasi) niente a chi compra e proprio niente a chi consumerà poi il bene.

Quanto Costa? La risposta è Quanto Vale.

Il marketing, come scienza socio-economica piazza primi che prodotti sul mercato, dei valori sulle persone, sarebbe sbagliato ridurre tali valori al prezzo/costo e dovrebbe essere opinabile capire che così facendo si relega al solo sistema di misurazione monetaria la capacità di valutazione di un bene, che, invce, una valorizzazione be diversa, meno rigidamente matematica, del suo semplice prezzo, legata alla socialità dell'individuo e alla sua interazione (irrazionale) sociale.

In tale ambito il valore-prezzo perde gran parte del suo significato, rimpiazzato da un sistema valoriale più complesso, più articolato che tocca ambiti psicosociali (il ruolo dell'individuo nel gruppo sociale). semiotici (la rappresentazione di un segno), sociologici (la rappresentazione sociale di se'), fino a diventare il valore qualitativo dell'individuo, mentre il costo-prezzo può rappresentare al massimo il valore quantitativo della persona (persona latinamente intesa come maschera).

Per vendere beni (ed ogni bene è servizio, insegna Kotler nel suo bel libro del 2010), bisogna proporre valore conversando con i nostri interlocutori (perchè i mercati sonon conversazioni, è una delle tesi del Cluetrain manifesto di quei mattachioni di Locke & co.).

La risi finanziaria sarà superata quando smetteremo di proporre prezzi e costi, e si inizierà a parlare e (r)accogliere valori.

venerdì 2 marzo 2012

...ma e se lo spread...?

Pesaro, 24 Febbraio

Conferenza sulle opportunità della crisi, o crisi delle oppotunità, in un venerdì sera tra l'inverno e l'incertezza. Filippo mi cammina accanto, sull'altro fianco l'ex carcere minorile (un segno?), davanti a me dubbi, dietro di certezze. Meglio guardare avanti.

Lo spread è un differenziale: tra il valore dei nostri buoni (BTP) e quelli del Paese più virtuoso in area Euro (la Germania). Ovvio lo Spread è annche altre cose, ma lo si usa comunemente in questo senso, e va bene... Ma quanti si ricordano che esiste un differenziale di rendimento anche "contro" la Francia, la Spagna... la Grecia?!? E' pensiero laterale: guardare un problema dalla soluzione, o aggirare il problema, la debolezza, trasformandolo in punto di forza, convertire le minacce in opportunità.

Il nostro differenziale è scarso verso la Germania (era atorno a 350), ma migliore verso la Francia e altri Paesi, eccellente verso altre euro-economie.

Ecco il pensiero laterale: sapere leggere le situazioni oltre i limiti imposti dal sistema di pensiero dominante, vedere la soluzione e salire a ritroso fino ai dati originari.

Ora, mi sono chiesto, mentre Filippo mi parla del suo e mentre sono seduto tra imprenditori che parlano del loro, che relazione ci sia con la legge più antica del mondo economico: domanda e offerta.

Siamo sul mercato azionario globale.

Tu offri titoli all'1%.
Io offro titoli all'4,5%.
4,5-1 =3,50 (350 punti base).

Tu dai un titolo, qualcuno ti da 100 euro e ne vorrà indietro 101. Vali poco, perchè c'è poco rischio.
Io do lo stesso titolo a 100 e pagherà 104,5. Valgo molto, ma che rischio? Insomma, siamo davvero Paese a rischio, con la terza riserva aurea del mondo? L'oro è sempre oro, se hai fame non lo metti intavola, ma ha un valore reale. le proiezioni delle socità di rating valgono ancora meno dell'oro ed in Italia ce ne è tanto: la terza riserva al mondo dopo USA e Germania, prima di Francia, BCE e FMI! Se le cose dovessero andare male, c'è sempre e comunque l'oro a garantire.

E dove è il rischio, se non per il Paese che pgherà interessi alti? In un momento di contrazione finanziaria e mancanza di liquidità potrà essere difficile, ma di certo è attraente comprare allo stesso prezzo ma avere un rendimento 3 volte più alto.

Se il rischio-Paese è tale da supportare il rischio percepito alla nostra mente (Kahneman-Tversky), e la speranza di guadagno in situazione di rischio (o crisi) è superiore alla paura di perdere denaro, allora la regola dice che chi compra, si rivolge al titolo più attraente per il guadagno, non al più sicuro per non perdere (insomma, stiamo parlando di finanza, dove il rischio è insito nella natura stesa degli acquisti/vendite).

Che sia per questo che compriamo titoli italiani e quelli tedeschi sono un pò più fermi al palo?

Io credo che le regole economiche, le valutazioni di Moody's e Standard & Poor tralascino un dettaglio: siamo persone, con un sistema di ragionamento irrazionale e un sistema di comportamento (economico, anche) che si regge su regole (quelle della economia compotamentale), non su rapporti di numeri. E così ci compotiamo, ci muoviamo e decidiamo.

Parlavo dell'oro: vale più (anche in termini di minore rischio) delle valutazioni e del rating? Correnti di pensiero si scontrano come le correnti di Capo Horn, e a vincere è quel coraggioso comandante che sfida la legge dei numeri e ricorda che in fondo il nostro compotamrnto è più spesso irrazionale, che logicamente impostato, soprattutto.
Così decidiamo che 4,5% vale più di 1% (....vale 350 punti base di spread in più!), e se il venditore può pagarli (... e può eccome), e il rischio è garantito o accettabile (l'ho detto, lo è!) allora, forse, lo Spread va abbassato per renderlo conveniente da pagare, ma non troppo, per rendere i titoli convenienti da acquistare. E' un compromesso, una legge di mercato: quelli tedeschi, di titoli sono "più sicuri" sulla base di una valutazione-Paese, quelli italiani sono più redditizzi sulla base delle medesime valutazioni: l'Italia non è e non era in default. Ce lo hanno fatto credere e digerire, ma vantaggio di chi? Noi i titoli li abbiamo piazzati: un pò al 7% un pò al 5%, un pò a meno... l'offerente è lo stesso, l'affare lo farà chi ha letto tra le righe che questo Spread non era conveniente solo per chi offriva prodotti (titoli) che rendevano meno ad un rischio tutto sommato simile (se cade l'euro cadono anche le altre economia europee, non solo quella greca, italiana...)

Il convegno è finito, molti applausi, mi aspetta una cena. Poi magari il dopocena. Devo digerire questa idea. E pensare come migliorarla. Certo è un pò estrema... ma come lo vinco il Nobel se non rischio un pò...? Ora, lo spread rispetto ai colleghi più gettonati è alto. Puntare su di me vuole dire rischiare molto... ma rende altrettanto.