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giovedì 1 dicembre 2011

Il sincretismo culturale nel marketing moderno: scienza economica e scienza sociale

Il sincretismo culturale nel marketing moderno: scienza economica e scienza sociale






                                                                                                                             di Luca Scaini





L’articolo partendo da una panoramica sul marketing contemporaneo e non-convenzionale, intende dimostrare come il marketing sia più propriamente un ponte sincretico tra azienda-mercato che mette in collegamento due sfere sociali importanti come quella economica e quella antropologica e come le finalità  antropologiche proposte dal marketing non-convenzionale siano più propriamente mezzi atti a raggiungere un fine economico e finanziario. E’ quindi necessario ricondurre a modelli di comportamento le basi economiche delle attività del  marketing e del sistema della domanda e dell’offerta. Lo spunto viene dalla affermazione di correnti di pensiero come l’economica comportamentale e la finanza comportamentale (Kahneman, Tversky, 1979 e 1981; Kahneman, Slovic, Tversky, 1982; Ariely, 2008), sulla base di spunti molto antecedenti come la physioeconomia (Parker, 1997; Pellicelli, 2010). Può il marketing essere ri-concepito (o “reloaded”, Kotler, Hermawan, Iwan 2010) come lo strumento che dopo avere compreso i mercati  - ambito economico -, ne può comprendere anche i suoi agenti, cioè i clienti -ambito antropologico-? E se internazionale significa “tra gruppi sociali”, allora il marketing internazionale non potrebbe investigare il comportamento, come pratica sociale in cui avviene l’acquisto?








Sommario



1.Il marketing ponte sincretico tra azienda e mercato e tra economia e società

2.Gli strumenti derivati dall’Economia Comportamentale

3.La ricerca di mercato come strumento economico e quella di  marketing come strumento antropologico

4.Il sistema comportamentale come base del sistema economico: il caso Mitsubishi  
Kereitsu





1. Il marketing ponte sincretico tra azienda e mercato e tra economia e società.



Quando si parla o si scrive di marketing, mercati, target, players, nella maggior parte dei casi si può riscontrare un’improvvisa  grande confusione di definizioni e di idee, non derivante da una mancanza accademica di elementi definitivi riguardo la differenza esistente ad esempio tra consumatore e acquirente, tra prodotto “reale” e “semiotico” (o marchio), tra le definizioni di Mercato, tra la ricerca di mercato e la ricerca di marketing, ma da un fiorire contemporaneo di sottoculture di marketing (le celebri “Panacee di Marketing” di Brown 1993 e di Cova, Pallera, Giordano, 2008 stigmatizzate anche da Fabris, 2009: “…le innovazioni di marketing, innovazioni cioè ingannevoli perché puramente cosmetiche…”), che vorrebbero effettuare una sorta di marketing re-loading (Boaretto, Noci, Pini, 2007) facendo tabula rasa del passato e proponendo in sua vece una sorta di scienza non-scientifica e di economia non dedita al profitto (ma ad altre “benemerenze”, Fabris 2008) applicata alla società (Cova, Giordano, Pallera, 2008). Secondo però l‘opinione che si intende esprimere nel presente articolo, tale rivisitazione è difficilmente applicabile all’economia e all’impresa.



Purtroppo anche l’esperienza quotidiana (e una semplice ricerca su google) dimostrano come la confusione sia eccessiva, come anziché pensare ad un’operazione di sincretismo culturale tra azienda e società, e tra marketing innovativo (o non convenzionale) e marketing classico e d’impresa, si sia talvolta pensato di sostituire la prima delle due dimensioni (azienda) con la seconda (società) e forse ci si è spinti troppo lontano dall’impresa e troppo verso la dimensione sociale ed antropologica, arrivando fino a definire talora il marketing non-convenzionale come “più economico” di quello tradizionale (Cova, Pallera, Giordano, 2008) e a sostituire la finalità dell’impresa con altre finalità o benemerenze (Fabris, 2008). Solo che tali altre finalità e benemerenze sono, in realtà, mezzi e non fini, peraltro, nemmeno così nuovi come potrebbe apparire ad una prima lettura (Cozzi-Ferrero, 2004; Pellicelli, 2010).



È altresì probabile che la stessa ricerca di una panacea di marketing, sempre più applicata in ambiti lontani dall’economia e vicini alla società, nasca dall’esigenza di superare la sorta di crisi del marketing, che Fabris definisce “momento di discontinuità” (2008). I Nuovi Marketing, le menzionate panacee, servono anche a spiegare ed aiutare il consumo come “agire sociale dotato di senso” che alla dimensione economica aggiunge valenze sociali, semiotiche, antropologiche. Dal societing al marketing virale e tribale, e via discorrendo attraverso le decine di nuove idee fiorite dal 1985 in poi (Cova, Giordano, Pallera, 2008); nella pratica economica di ogni girono, però, tali panacee non affiancano affatto il marketing convenzionale alle esigenze aziendali, ma tendono a volerlo sostituire con suggestioni antropologiche e sociologiche (Locke et al. 2001) che relegano le esigenze economiche e finanziare ad un campo di negatività o inutilità, a volte giustificando proprio questa scelta (Fabris, 2008).



Il sincretismo culturale contemporaneo a cui questo articolo intende fare appello dovrebbe invece dare al marketing una valenza antropologica almeno pari (e solo pari) a quella economica, senza eccedere in nessuno dei due campi scientifici, unire quindi due esperienze egualmente importanti e complementari (Kotler, Hermawan, Iwan 2010) e rendere utilizzabili da parte del marketing quegli strumenti che gli son derivati da altre scienze sociali (Cozzi-Ferrero, 2004). Si auspica, inoltre, che la finalità delle operazioni di marketing come dell’impresa possa restare quella finanziario-economica, senza sostituire erroneamente i mezzi con i fini (il marketing non-convenzionale, nella sua stesura teorica non suggerisce necessariamente una sostituzione, anche se come detto è stata ventilata o intuita questa possibilità, che è più che altro un

fraintendimento che, come detto in apertura, si incontra sempre più spesso). Ecco che senza separarsi dalla riva originale (l’impresa, la sfera economica), il marketing può porsi come il ponte tra le esigenze aziendali economiche e le riscoperte problematiche antropologiche proprie del mercato inteso come insieme di persone (o massa di persone, Mattiazzo, 2010 in  http://www.performancetrading.it/Psicologia/Masse/MasMasse.htm) e dei suoi target, consumatori o consum-attori (Fabris, 1995, 2001, 2008; Fabris-Codeluppi, 2003).



In un sistema gestionale aziendale moderno la complessità è rappresentata non dal lasciare la vecchia posizione per cercarne di nuove, ossia per attribuire valori nuovi che siano sostitutivi dei vecchi, tentativo certamente affascinante, visto il numero di panacee del quindicennio 1985-2000, ma nel sapere avvicinare le due posizioni, utilizzando il marketing come strumento aziendale oramai tradizionale, anche in maniera nuova, atto ad attuare politiche d’impresa nel mercato delle persone, oltre che in quello dei target, attuando una sorta di “olistica di marketing” (Kotler et al. 2002; Cozzi-Ferrero, 2000, 2004; http://www.marketingjournal.it/marketing-olistico-philip-kptler/).



Affinché si possa realizzare un principio che si può forse definire realmente di “marketing post-contemporaneo o post-moderno” (prendendo in prestito questi aggettivi dai vari autori di marketing non-convenzionale già citati), occorre partire proprio da una più stabile e più ampia definizione delle aree e delle funzioni del marketing aziendale moderno. Infatti se il marketing nasce in azienda, in un ambito economico, per assolvere al compito a cui è chiamato ancora oggi (non diverso da quello tradizionale, ma solo più complesso), cioè generare valore finanziario, il profitto, anche in maniera nuova ed innovativa attraverso migliore conoscenza della nuova coscienza dei consumatori (Kotler, Hermawan, Iwan 2010; Kotler at al, 2002), esso si deve realizzare, e realizzare il profitto finanziario dell’impresa, “nella società”, nel mercato inteso come gruppo di persone in cui “…Il concetto di consumatore evolve verso un livello superiore. Soggetto non solo di bisogni, ma anche e soprattutto di sentimenti, valori ed emozioni. In tempi come quelli attuali, non è più possibile considerare i comportamenti dei consumatori come indipendenti da tutto ciò che si manifesta nel mondo in cui essi vivono…” (Scott, recensendo Kotler, 2002, in “La gazzetta dell’economia”, http://www.gazeco.it/recensioni-libri/690-philip-kotler-marketing-30-la-nuova-era).



Quindi, se oggi si è generata confusione, si potrebbe fare risalire la cosa ad un approccio un pò troppo leggero verso agli aspetti economici ed aziendali e troppo orientato (solo) a quelli antropologici, approccio che nasce dal fatto che il Marketing non è solo una scienza economica, né una scienza sociale, ma unione sincretica di strumenti derivati da molte aree scientifiche (Cozzi-Ferrero, 2004), e  le molte panacee dimostrano che si è perso l’orientamento.

 La ricetta è la comprensione duale e l’approccio sincretico tra ragioni economiche e ragioni sociali, tra profitto finanziario e benemerenze, tra classico e moderno, e la differenza tra fine (immutato) e mezzi (in rapida evoluzione). In fondo, l’azienda faccia il suo lavoro e cerchi nella società i suoi profitti; chi fa marketing dovrebbe studiare un nuovo modo e nuovi mezzi - nuovi ponti - per raggiungere lo scopo, non cambiare lo scopo per aggirare la difficoltà nel realizzarlo, quindi studiare approcci creativi, elaborare strategie laterali, orientate al profitto (De Bono, 1998; Kotler-Trias De Bes, 2008).



Per uno sviluppo armonico del concetto sincretico di Marketing, è quindi imprescindibile considerare che l’ambito economico è strettamente in contatto con quello antropologico e che il profitto finanziario di un’impresa lo si ottiene in un contesto sociale, cioè il mercato, in cui le persone interagiscono tra di loro e con l’impresa stessa, nel tramite delle sue proposte commerciali. Ingenerosamente posto sul banco degli imputati dai critici del capitalismo (Fabris, 2009) e troppo spesso autoassolto dai suoi sostenitori, il marketing deve solo trovare una dimensione nuova in cui investigare mezzi atti ad un profitto ottenibile in maniera nuova.



Il problema in cui si rischia di incorrere nell’intraprendere questa affascinante strada “non-convenzionale” e che porta le attività di marketing ad orientarsi solo all’ambito antropologico, è di dimenticarsi sia del punto di partenza (azienda cioè ambito economico) sia della finalità dell’intero processo (profitto), rendendo il mezzo e luogo di realizzazione (il mercato e i target/persone) la finalità del tutto, anziché il mezzo. Per queste ragioni si vuole insistere sul concetto di ponte.



“…(Il profitto) non può inoltre essere il solo obiettivo che un’impresa deve porsi: la reputazione, per esempio, le benemerenze acquisite su fronti diversi dalla redditività non sono certo di poco conto, soprattutto in una visione prospettica”  (Fabris, 2008). In realtà, anche se la citazione viene successivamente ridimensionata (Fabris, ibidem), il profitto finanziario resta imputato eppure esso è la finalità dell’impresa e le altre benemerenze devono venire viste come un mezzo (abbastanza) nuovo: forse, la ricerca dell’aspetto sociale e antropologico del marketing si è spinta troppo oltre dimenticando l’aspetto economico, e dovrebbe proporsi come mezzo tattico per raggiungere redditività di breve termine e poi anche di lungo. In settori in rapido cambiamento (tecnologia) o che procedono strutturalmente a velocità incredibili (la moda, a causa o grazie al suo sistema basato su collezioni: da due a diciassette all’anno), le redditività di breve o di lungo termine devono equivalersi, non c’è tempo per altre benemerenze sostitutive nel breve termine.



2. Gli strumenti derivati dall’Economia Comportamentale



Nell’ambito del sincretismo e dell’olistica di marketing (secondo l’accezione data da Kotler et al., 2002 e illustrata da Cozzi-Ferrero, 2004), tra gli strumenti derivati da altre discipline scientifiche, un ruolo importante è ricoperto dalla scienza del comportamento. In senso comportamentale finanziario, infatti, esistono alcuni tra gli strumenti meglio utilizzabili da chi si occupa di marketing applicato alla comprensione del mercato e dei target privilegiando la lettura sincretica delle ragioni economiche ed antropologiche. Ragioni importanti possono essere reperite attraverso la lettura di interessanti spunti sugli aspetti comportamentali, sensoriali e antropologici del marketing (Abbate-Ferrero, 2007) e sul comportamento economico e finanziario (Kahneman-Tversky, 1979, 1981; Kahneman-Slovic-Tversky, 1982; Ariely,2008): si tratta di strumenti derivati da altre aree scientifiche espressamente relativi ad indagare intimamente il mercato come insieme di target/persone nelle sue espressioni antropologiche relate all’economia.



Nel presente articolo, quindi, si vuole inoltre sottolineare che il campo “antropologico” in cui agisce il marketing per realizzare il profitto deve tenere conto proprio della scienza comportamentale, in quanto propria delle persone che generano o causano i profitti aziendali, sposando così istanze attualizzate dal marketing non-convenzionale con una visione più pragmatica e aziendale della materia. Il mercato e quindi i clienti soggiacciono a regole comportamentali e a modelli interattivi precisi e con essi anche il marketing come azione ad essi rivolta. Un’impresa realizza maggiore o migliore profitto capendo le persone che compongono il mercato, ricongiungendo così pragmatismo a non-convenzionalità (Cova, Giordano, Pallera, 2008; Ariely, 2008).



Come detto, non si deve stravolgere la finalità propria del marketing, né dell’impresa (rischio palese nel fiorire di tecniche e forme di pensiero attuali), ma sincretizzare esperienze economiche e antropologiche al fine di massimizzare il profitto per l’azienda ed i ritorni sia economici sia psicologici per i consumatori (Trevisani, 2001, 2003).



Il profitto per l’impresa è una imprescindibile finalità economica, ma è vincolato agli acquisti e quindi alle regole sociali e comportamentali proprie degli individui e delle loro interazioni. Tali regole escono dall’ambito economico per realizzarsi in quello antropologico, in cui il valore finanziario viene ingenerato dalle economie delle imprese.



Da qui, che il Marketing non è un’area (statica) dell’azienda, ma una funzione o un processo integrato in altri processi e aree limitrofe e spesso funzione di confine (Cozzi-Ferrero, 2004) rivolte ad un gruppo di persone (Mercato): si tratta di un insieme complesso di elementi, funzioni ed aree aziendali che concorrono a formare una scienza del “piazzamento sul mercato” (questa la definizione da dizionario della parola “to market”)  di un prodotto, che è appunto prodotto dell'azienda che entra in contatto con comportamenti e atteggiamenti individuali e di gruppo interattivi tra di loro e con l’ambiente circostante, sia esso fisico (come sostiene la phyisioeconomia) o sociale (economia e finanza comportamentali).



Il Mercato assume sotto questa luce un doppio significato: di ambito sociale ed economico, in cui dall’incontro delle due dimensioni di offerta e domanda si genera il profitto. Tale incontro assume contorni più definiti se vengono considerate dimensioni tanto economiche quanto antropologiche e sociali (domanda e offerta anche come incontro di persone con comportamenti ed atteggiamenti specifici, Tosi-Pilati 2005) e quindi nel momento in cui si cercano di comprendere i meccanismi comportamentali che sono alla base dell’interazione e dell’acquisto e quindi del profitto. Tali comportamenti e gli atteggiamenti in cui essi si risolvono sono dettati da regole sociali come da regole economiche, quindi di economia comportamentale (Kahneman-Tversky, 1979, 1981; Kahneman-Slovic-Tversky, 1982; Ariely,2008; Tosi-Pilati 2005; Tajfel,1999).



Il comportamento economico, l’irrazionalità, il comportamento finanziario influiscono sulla capacità di produrre risorse destinate ad essere profitto aziendale, non meno di quanto nella physioeconomia facciano l’ambiente fisico e sociale (Parker, 1997; Weber, 1904, 1906; Pellicelli, 2010, Scaini, 2010): tutto ciò non deve  stravolgere il fatto che comunque si sta trattando di una operazione economica, per quanto realizzata secondo schemi antropologici e comportamentali nuovi, o, meglio sincretici tra passato e presente, o tradizionale e non-convenzionale.



Un Marketing inteso, dunque, letteralmente come ponte e come mezzo di realizzazione dei piani di quell’impresa che - come sostenuto dagli autori di marketing non-convenzionale - sappia capire le persone come elementi costitutivi del mercato  e come agenti della trasformazione delle risorse economiche in profitto, anche attraverso un sistema comportamentale e psico-sociale complesso ed in evoluzione.



3. La ricerca di mercato come strumento economico e quella di  marketing come strumento antropologico.



Lo strumento principale della sfera economica è la ricerca di mercato (Pallavicini, 1959), che come tool di applicazione aziendale va integrato con lo strumento principale per la comprensione degli aspetti antropologici del mercato-società, cioè il piano di marketing: secondo una definizione comunemente accettata, le ricerche di mercato “…si rivolgono ad un ambito di analisi più ristretto, essendo rigidamente connesse all'individuazione di informazioni relative al mercato di un particolare bene. Hanno carattere esplorativo e si usano per accertare specifici aspetti del mercato…” (Wiki); di contro le ricerche di marketing ed il relativo piano di marketing sono: “…gli studi volti a selezionare tutti gli elementi rilevanti di informazione utilizzabili per le decisioni in tema di prodotti, distribuzione, efficacia della pubblicità e tecniche promozionali, nonché della valutazione della posizione complessiva dell'impresa…” (Wiki); la portata di una ricerca di marketing è più ampia, esce dal contesto-mercato per entrare nel contesto-target. La segmentazione, il posizionamento sono appunto relativi ai target, quelli che sono state efficacemente definiti “persone con cui risuonare” (Cova, Giordano, Pallera, 2008; Locke et al. 2001)



La controparte di pertinenza sociale, antropologica o anche comportamentale, è quindi la ricerca di marketing, quella che dovrebbe analizzare il contesto umano in cui l’impresa è in grado di generare e recuperare il profitto, ed andrebbe maggiormente riferita alla comprensione di aspetti a metà tra economia e comportamento sociale, come le ragioni degli acquisti, il comportamento dei target, la segmentazione ed il posizionamento nella mente del consumatore (Ries e Trout, 1981; Ries e Rivkin, 1996 Zaltman, 2003;), dati fondamentali per la riuscita dell’operazione economica: per ottenere profitto migliore/maggiore occorre risuonare con le persone tenendo presenti il dinamismo dei target ed il fenomeno del nomadismo (Cova 2003, Kotler, Hermawan, Iwan 2010), prima che colpire bersagli statici.



Il marketing aziendale, inteso come funzione e non come area dell’impresa, è anche quello che deve arrogarsi  (rendendola possibile) la gestione avanzata del Mercato (dei target e delle persone, Kotler, Hermawan, Iwan 2010) attraverso politiche strategiche di posizionamento continuo, per massimizzare costantemente il profitto e ottimizzare tutti i processi destinati al Mercato stesso, anche ricorrendo ad una olistica nuova (Cozzi-Ferrero, 2004).



4. Il sistema comportamentale come base del sistema economico: il caso Mitsubishi Kereitsu



A questo criterio risponde, ad esempio, un’impostazione storica di impresa, quella della giapponese Mitsubishi Kereitsu (三菱グループ), che traduce in una forma Marketing estremamente moderno le proprie linee guida a partire dal logo aziendale, e che dal XIX secolo sposa la visione sincretica che si intende sottolineare nel presente articolo. Il logo dell’impresa, creato nel 1875 da Yantaro Iwasaki, è notoriamente composto di tre rombi convergenti a stella tripunte verso il centro. I tre “diamanti” (questo il significato del nome “Mitsubishi”) rappresentano i valori aziendali di responsabilità comune nei confronti della società (visione interna ed economica); integrità e lealtà (affinché i valori interni siano condivisibili esternamente, “risuonando” con le persone, come sostenuto dal Marketing non-convenzionale); conoscenza dei popoli attraverso il commercio (visione antropologica e physioeconomica). Un approccio strategico di Marketing non-convenzionale già della fine del XIX secolo (Odagiri, 1996; http://www.mitsubishi.com/e/group/mark.html).



Questo breve case history relativo a Mitsubishi ribadisce come:



1)      l’obiettivo economico e finanziario dell’impresa deve restare primario;

2)      il mezzo antropologico resta un mezzo di fondamentale importanza, ma né unico né finale, bensì uno strumento con applicazioni nuove, sebbene già teorizzato ed intravisto in passato, per il conseguimento del profitto;

3)      il Marketing, come l’azienda di cui è espressione, trova realizzazione delle proprie finalità finanziarie in un ambiente interattivo composto di persone.



Mitsubishi specialmente col “terzo diamante” anticipa largamente un pensiero diventato predominante nell’ultimo decennio: la conoscenza dei popoli, o la conoscenza delle persone, traslando “popoli” come “gruppi di persone” o “mercati”. Tale conoscenza è riferita, dalle varie fonti citate, anche al comportamento in quei contesti sociali specifici altrimenti definiti mercati e nazioni (Parker, 1997; Weber, 1904, 1906; Pellicelli, 2010, Scaini, 2010; e già prima Montesquieu, 1721).



I Mercati sono quindi insiemi di individui, la finanza comportamentale definisce i “mercati finanziari […] prima di tutto sono gruppi di persone” (Mattiazzo, 2010 in  http://www.performancetrading.it/Psicologia/Masse/MasMasse.htm) che adottano sistemi comportamentali per decidere (le masse ne adottano di tanto più “primitivi”) in un contesto che è tanto sociale quanto economico, ma in cui, comunque, esiste un “rischio percepito” (Kahneman-Tversky, 1979).



Alla base del mercato ci sono persone o target consum-attori, che nel mercato si muovono, interagendo tra se stessi e con l’impresa per mezzo dei prodotti e del marketing; di qui l’importanza di conoscere l’ambiente (tramite la ricerca di mercato) e di comprendere l’interazione dei suoi elementi (tramite il marketing e lo studio dei sistemi comportamentali tanto degli individui quanto dei gruppi e delle masse).



Il Mercato è quindi anche antropologico, un enorme contenitore di gruppi sociali interattivi tra di loro e con l’impresa, ed in tale contesto socio-antropologico si realizzano istanze economiche ed aziendali; infatti, il contesto antropologico è (solo) uno dei due aspetti del Mercato stesso: ivi si incontrano una domanda ed una offerta economiche regolate da sistemi comportamentali precisi, e seppure in tale ambito “sociale” si realizza la finalità dell’Azienda, il profitto;  questo è l’aspetto prettamente economico che invece resta primario, mentre le altre benemerenze (i diamanti della Mitsubishi, le benemerenze di Fabris o le varie finalità ampiamente accreditate dal marketing non-convenzionale) sono un mezzo per raggiungere il suddetto fine economico e finanziario delle operazioni, mezzo, in taluni casi, anche nuovo, innovativo o non-convenzionale, ma destinato a colpire i target - o risuonare con essi - al fine di raggiungere lo scopo dell’operazione aziendale.



I mezzi non-convenzionali - trasformati come detto talora in fini  erronei - sono dunque già stati teorizzati, seppure talora in modo embrionale, ma spesso non utilizzati, così come i target che compongono l’ambiente socio-economico denominato “Mercato” sono un mezzo che è rimato a volte relegato alla sfera di inattività come se fossero solo target-bersagli e non persone-attrici (Cova 2003, Kotler, Hermawan, Iwan 2010). Il marketing  “si avvale già strumentalmente di concetti e metodi derivati da altre scienze sociali” (Cozzi-Ferrero, 2004, p. 183).

 I target che generano il profitto dell’impresa e che svolgono operativamente azioni di acquisto del prodotto (creando quindi redditività),  sono sempre di più - grazie al rapido cambiamento evolutivo della società della comunicazione - un mezzo interattivo col quale (o col cui consenso) si può migliorare la redditività delle operazioni o il rapporto efficienza/efficacia della strategica dell’impresa (in merito al rapporto efficienza/efficacia: Pellicelli, 2005).



Partendo da tutti questi presupposti sembra che le tendenze recenti di marketing abbiano un pò rovesciato i rapporti di forza, ossia l'aspetto economico-finanziario potrebbe apparire subordinato a quello socio-antropologico (come è appunto accaduto nei casi bibliografici proposti), e questo nel tentativo che sembra assolutamente corretto di rivalutare una posizione già affermata, ma poco nota e poco utilizzata, quella dell’analisi socio-antropologica, e della successiva e convergente analisi comportamentale dei target e dei gruppi sociali. Infatti, il rapporto di forze (azienda-mercato; economia-società) va solo riequilibrato a causa del rapido cambiamento della società e dei suoi mezzi (Locke et al, 2001), e non alterato come si rischia e si fa, ad esempio, adottando decine o centinaia di panacee.



Si vuole proporre come nessuno dei due ambienti sia in assoluto più importante, mentre si vuole sottolineare come la conoscenza di aspetti antropologici della società e di aspetti comportamentali dei target sia diventata imprescindibile per conoscere il mercato e “piazzare” (questo il significato di “to market”). Se si tratta di due sfere complementari e di eguale importanza tra le quali si crea una comunicazione multisettoriale ad opera dei Prodotti, dei marchi, dei messaggi della comunicazione in senso lato che passano - e rappresentano il passaggio fisico - dall'Azienda nel Mercato, allora tale passaggio (ponte, lo si è definito precedentemente), è operato e rappresentato dal Marketing, che pone le basi di tale passaggio e definisce le attività operative in base alle quali il passaggio può avvenire e concludersi positivamente in termini sia socio-antropologici (il Prodotto “determina benefici”) sia economico-finanziari (il Prodotto “determina profitti”).



La comprensione dei fattori comportamentali (siano essi influenzati dalla religione, come sostenne Weber, dal clima, come rimarcò Montesquieu, o da fattori congiunti di religione/consumo che è la teoria di Parker) resta un caposaldo contemporaneo da cui ripartire per operare un prezioso, indispensabile e delicato bilanciamento: non per nulla si tratta di comprensione del pensiero comportamentale, cioè di quei processi che regolano interazione all’interno del mercato-società in cui i target si muovono alla ricerca di rapporti reciproci determinati anche dai prodotti che acquistano (Kahneman-Tversky, 1979, 1981; Kahneman-Slovic-Tversky, 1982; Ariely,2008).



Perché tutto questo sia attuabile, bisogna considerare quindi che il mercato/ambiente  è composto da target/persone interattive non solo con i prodotti/messaggi dell’impresa, ma anche tra loro stessi (Locke et al., 2001), e che il sistema interattivo è basato su regole di comportamento sociale ben identificate come gli atteggiamenti (Tosi-Pilati, 2005), o le reazioni  a stimoli che sono sovente reazioni irrazionali (ciò è dimostrato dalla “teoria dei giochi”, per esempio in Ariely, 2008), infine che l’intero sistema decisionale economico si basa su regole molto più vicine al campo dell’interazione psicologica sociale (Kahneman-Tversky, 1979, 1981; Kahneman-Slovic-Tversky, 1982;) che non a quello della razionalità pura e semplice.



Conoscere il mercato è certo compito della ricerca di mercato, l’analisi comportamentale (soprattutto in condizioni di indecisione o rischio) è propria della ricerca di marketing e dello studio del comportamento degli attori del mercato stesso (aziende e target in mutuo rapporto), anche attraverso i mezzi della teoria dei giochi applicata all’economia (Duncan Luce-Raiffa, 1957; Gibbons, 1992; Kahneman-Tversky, 1979, 1981; Kahneman-Slovic-Tversky, 1982).



In conclusione, il Marketing, ridotto alla sua semantica, è l'azione che riguarda il “Mercato”, elemento che non può essere univocamente inteso solo in senso economico o solo in senso antropologico, ma in entrambi. Mercato è in questo senso un insieme di compratori e venditori che interagiscono e di persone che accettano uno scambio esperienziale, agendo sulla base di atteggiamenti e comportamenti che valutano condizioni di rischio percepito di carattere economico, e sotto questo profilo si ritiene che siano da accogliere le suggestioni del marketing non convenzionale, più che quelle relative al cambio del cambio di direzione strategica dell’impresa.



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venerdì 16 settembre 2011

Il rapporto tra l'internazionalizzazione e la physioeconomia

(originale pubblicato su setupimpresa, rivista della facoltà di studi economici dell'Università di Macerata)


L’articolo presenta uno spaccato del punto di vista physioeconomico (Pellicelli 2010), applicato non tanto e non solo alla segmentazione internazionale (Parker 1997), ma soprattutto dell’applicazione sociale agli aspetti economici, includendo il marketing e più in generale la scienza economica entro l’ampio abbraccio delle scienze sociali, come sostiene la diffusa recente corrente che vorrebbe riportare il marketing come scienza del mercato nel societing come scienza della società (Venkatesh e Penaloza 2006). Si mette quindi in evidenza come gli approcci metodologici dovrebbero, secondo la nostra esperienza pratica, ponderare meglio gli assetti sociali e psicologico-sociali propri dell’antropologia dei mercati, in modo particolare per i beni più “emozionali” e in termini di global economy.







Our article introduces an overview on the physioeconomical point of view, applied not only to international segmentation (Parker 1997), but mostly applied to its social application onto economics, including marketing and generally speaking economics under a large social sciences’s overview, as stated by a large recent trend that refers marketing not as “science of market” but “science of society” (societing) (Venkatesh e Penaloza 2006). We mark how methodological approaches should evaluate better some social and psychological aspect related with anthropological aspects of markets (accordingly with our experience), expecially for “emotional” goods and in the global economy.



Parole chiave

  1. Marketing non convenzionale
  2. Marketing tribale
  3. Internazionalizzazione
  4. Segmentazione
  5. Gruppi sociali
  6. Gruppi socio-culturali





Sommario



1.Aspetti tradizionali e innovativi dell’internazionalità

2.New Markets e approccio alla novità.

3.Gruppi Socio-Culturali Dinamici e Segmentazione





1.Aspetti tradizionali e innovativi dell’internazionalità



Ogni qualvolta s’inizia un nuovo intervento sull’internazionalizzazione tanto in azienda quanto in accademia, si dovrebbe cercare di riorientare il sistema di pensiero degli interlocutori verso quello che a volte sembra essere rimasto un interstizio tra credenze generali e fuorvianti, in un’ottica di “operazioni di qualità”: l’obiettivo del presente intervento è quello di rendere il “fattore sociale dell’internazionalizzazione”, il punto su cui focalizzare l’attenzione.



Sovente si affronta il problema antropologico del marketing internazionale legandolo alla segmentazione, o alla selezione dei mercati, ma il più delle volte si dovrebbero necessariamente attraversare barriere culturali e psicologiche più serrate di quelle tariffarie o doganali: il vero processo inter-nationes è - basandosi sull’esperienza tanto pratica quanto sulla ricerca - di carattere culturale e tribale (in alcuni settori come la moda e il lusso, ricercatori e aziende se ne sono accorti da tempo): tale concetto risale ad autori che hanno trattato appunto il rapporto con il marketing e la moda (Foglio 2007, Pellicelli 2010), ma anche ad autori che, nel marketing non-convenzionale, hanno parlato diffusamente di concetti d’internazionalità sociale (Cova 2003 e Cova-Kozinets-Shankar 2007), in cui i fattori di segmentazione (anche nazionale) esulano dal contesto socio-politico per addentrarsi in quello dei momenti di vita (Codeluppi, 2002); addirittura l’entrare a far parte di tribù potrebbe rendere “…impossibile la classificazione secondo gli abituali standard sociologici, incluso lo stile di vita” (Cova, Giordano, Pallera 2008, p.90).



Il marketing internazionale, e più in generale le politiche d’internazionalizzazione, sono quindi operazioni di passaggio tra gruppi sociali, i cui elementi di diversificazione possono esulare dall’aspetto prettamente politico: sono processi simili a quelli del societing, appunto (Badot-Bucci-Cova, 1993): l’accezione politica o nazionale non è che una - seppure la più diffusa - accezione. Secondo gli autori citati, peraltro, sembra che nell’ottica economica globale, l’accezione “nazionale” in senso non culturale, ma prevalentemente burocratica, sia anche la più debole.



L’archetipo di Natio  deriva dalla Bibbia, secondo cui la nazione è “…una delle grandi divisioni naturali della specie umana uscita dalle mani di Dio creatore, espressione della diversità visibile della società umana sulla terra…”, dunque un gruppo sociale i cui parametri di associazione o raggruppamento sono variabili e multidimensionali (Tajfel 1999): in latino natio non significa che “nascita” o, appunto, gruppo sociale, tribù (e qui ritorna il riferimento citato al societing).



È credenza comune che i mercati internazionali siano dunque mercati stranieri più che estranei in senso culturale; invece per l’accezione antropologica che si vuole usare, dobbiamo riconoscere che le strategie di penetrazione internazionali sono egualmente valide e applicabili - e spesso perfino più redditizie - per penetrare nuovi segmenti, nicchie (Andreani-Rossi 2007) e utenti (Pellicelli, 2010). Si aggiunga che i mercati sono tanto più stranieri quanto culturalmente ignoti (Valdani e Bertoli, 2006). Penetrare una nazione culturalmente diversa o un segmento che agisca in maniera culturalmente diversa dalla nazione o dal segmento di origine, non differisce, se non nella tecnica commerciale, dalla penetrazione internazionale classica: le dogane e le operazioni in valuta sono probabilmente sostituite dallo sdoganare valori e credenze legate al prodotto e al suo (meta) brand.





Insomma, Montesquieu per primo sostenne che non sono gli uomini a essere diversi, ma gli ambienti, pertanto è sul concetto di diversità dell’ambiente a cui vorremmo sempre fare riferimento: ambiente, cultura, interazione come elementi di maggiore influenza nelle relazioni e nella formazione di quadri di riferimento applicabili all’interscambio merci/informazioni/stimoli (Tosi-Pilati, 2002).



È necessario partire da una solo apparentemente ovvia definizione del mercato come “luogo d’incontro della domanda e dell’offerta”, per arrivare a un più attuale “luogo d’incontro” (Cova, Giordano, Pallera, 2008), in cui l’interazione è multi livellata nel più ampio panorama sociale e culturale (Locke et al., 2001).



Il mercato estraneo o estero è tale soprattutto in relazione al punto di vista del “noto”, cioè del prodotto-azienda: rispetto a esso (cioè al prodotto-azienda) si parla di novità e di comprensione cognitiva dello stesso. Il “noto” è il punto di vista peculiare rispetto al quale si calibrano le strategie internazionali e globali, ora arrivate a un punto di svolta, quello della forte sottolineatura dell’aspetto antropologico e culturale.



2.New Markets e approccio alla novità.



Quando si sente parlare di “new markets”, anche se ci si riferisce principalmente alla Cina, all’India, presto, prestissimo, al Brasile e al Messico, si dovrebbe invece pensare anche ad aspetti di innovazione nell’approccio culturale più che alla novità rappresentata dall’ingresso nel panorama economico mondiale di un nuovo player: esiste infatti un accesso attivo ai mercati: la penetrazione commerciale, la penetrazione integrata produttiva (Pellicelli, 2010), e uno passivo, proprio dei “soft means”, cioè l’avvicinamento di noi al nuovo e l’attrazione del nuovo a noi.



Lo stesso “…marketing non-convenzionale: una storia italiana” (Cova, Giordano, Pallera, 2008, p.53 e segg.) lo dimostra, unitamente ad altri testi (Bucci 2006, Codeluppi 2002).



Per esemplificare tale punto di vista, si presti attenzione a un esempio pratico. Quando nel 1996 l’autore del presente articolo si trasferì in Russia, come direttore generale del centro di cooperazione dell’UNESCO, si affrontò sistematicamente l’approccio (nuovo per molte aziende italiane) al mondo post-sovietico e al tempo si lavorava moltissimo col settore calzaturiero in cui eccellono le Marche. Il prodotto incontrò un totale apprezzamento nonostante la Russia di quegli anni fosse, letteralmente, un “Mercato Senza Storia”, il più nuovo dei mercati nell’asset mondiale di fine millennio e nonostante le politiche di penetrazione fossero più passive che attive e non certo attuali. La novità rappresentata dal Mercato era solo apparente: per oltre trent’anni le scarpe dei russi erano state prodotte in Emilia e in altre zone d’Italia (la stessa Gianmarco Lorenzi, azienda leader oggi nel segmento lusso in Russia era, senza saperlo,  presente e fornitrice del segmento “top”), e per oltre quarant’anni l’immaginario collettivo russo aveva idealizzato l’Italia come sorta di Paese del Bengodi in cui le arance (bene rarissimo in Unione Sovietica) crescevano liberamente ai bordi delle strade, e in cui anche il più povero aveva frutta buona e scarpe belle. Se la Russia era ignota alle aziende italiane, coi suoi gusti eccessivi e i suoi modi anomali, “esse” non erano estranee “a loro”. Si era già gettato il seme del citato tribalismo (Cova, 2003).



Nuovo significa che ci si deve riferire soprattutto a qualcosa di psicologicamente, socialmente ed economicamente “nuovo”, in quanto estraneo al nostro senso comune, un mercato nuovo in quanto mai affrontato direttamente o attivamente in precedenza non è necessariamente una novità assoluta.



Il cosiddetto “foreign market”, il “Mercato Estero” anglosassone è, a ben vedere: foreign (aggettivo) “not contained in or deriving from the essential nature of something or not belonging to that in which it is contained; introduced from an outside source”.



In definitiva, soprattutto in settori in cui il prodotto risulta drammaticamente secondario rispetto alla strategia di supporto e all’universo emozionale che ruota attorno al prodotto stesso - come il settore della moda, del lusso e i settori in cui si punta sull’edonismo come risultante e causa di proposte d’acquisto - le tecniche di penetrazione studiate per i mercati possono essere egualmente utilizzate anche per nuovi segmenti, fintantoché ci si riferisce a “new” e a “estraneo-foreigner” come a “sconosciuto” a livello di processo cognitivo, su un piano socio-antropologico prima che meramente economico.



3.Gruppi Socio-Culturali Dinamici e Segmentazione



Nella segmentazione physioeconomica per i mercati  internazionali (Parker 1997) si fa riferimento a fattori culturali come la religione. A suo tempo ci si riferì all’accesso alle risorse da parte di diversi gruppi religiosi (Weber, 1905). Infine si portano ad esempio le abitudini d’acquisto e di consumo del tabacco e di determinati farmaceutici (Pellicelli, 2010): è il principio passato alla psicografia, che influenza, in termini di globalizzazione, gli acquisti più che le barriere fisiche: dove viene meno il confine reale subentra quello percepito, è anche il principio passato al tribalismo (Cova 2003) e al Cluetrain Manifesto (Locke et al., 2001).



Tutta la strategia d’internazionalizzazione, dal punto di vista dell’ingresso su nuovi mercati, va interpretata a partire da un approccio sociologico in cui lo scambio economico prodotto contro denaro si regge prima di tutto sul passaggio da un gruppo a un altro, gruppi che si aprono per permettere il flusso merci contro valuta solo in seguito a quello delle idee, e degli scambi culturali (Venkatesh e Penaloza 2006).



Se la cultura è “una mappa che racconta una storia” (Mantovani 2005, p.57) ed essa è “una mappa per esplorare la realtà […] essa media tra individui e ambiente avvolgendoli in una rete di senso” (Mantovani 2005, p.147). Essa è mappa per muoversi nella società e nel mercato. Allora permette anche e prima di tutto il movimento dei prodotti - ivi incluse le informazioni - (Cova, Giordano, Pallera 2008) della società stessa, e per questo è opportuno ricondurre la linea di pensiero al passaggio d’idee e alla conseguente conoscenza dell’alter psicologicum, un po’ come avvenne mille anni or sono per le crociate… che, infatti, lanciarono e prosperarono proprio attorno ad un prodotto metafisico ed emozionale potentissimo: la Croce (Aphandery-Dupont, 1974).



L’internazionalizzazione è quindi un processo inter-nationes che trascende l’economia per riversare tutto il suo significato completo nell’ambito sociale, di cui l’economia è parte integrante e integrata, e dove inter sta a indicare un attraversamento di una barriera o confine non necessariamente fisico, né meramente economico, ma ben più complesso, in quanto compartecipato da diversi aspetti.



Si è detto che il confine fisico, come quello doganale, può essere ben più blando di quello sociale o antropologico: spesso, infatti, la peggiore maniera di affrontare la novità, rappresentata non dal “mercato” in sé, ma dal suo contenuto socialmente, antropologicamente “nuovo”, è il tentativo di costruzione di hard point (keystones) concentrandosi (esclusivamente) sul tipico modello di business aziendale esportato in un passato recente in cui gli asset globali erano ben diversi da quelli attuali, e ancora in rapida evoluzione (Zaltman 2003, Hennessey 2004).



In epoca globale i gruppi non sono (più) agglomerati (solo) attorno a concetti nazionali o economici, ma attorno a soft-points variabili e prettamente psico-sociali, i fattori tribali (Venkatesh e Penaloza 2006, Cova 2003 e Cova-Kozinets-Shankar 2007)



Occorre rivedere l’approccio alla complessità del mercato in maniera che si può definire “penetrazione orizzontale”, cioè rivalutando aspetti culturali tangenti il business, che ne fanno parte rendendolo più globale.



Già si parlò di segmento globale come sistema di approccio ai mercati e alla loro estraneità cognitiva: si è infatti iniziato a parlare nell’ultimo decennio di target più che di mercati, riferendosi al fatto che la globalizzazione sta riducendo determinate distanze economiche, politiche, comunicative, e oggi già si afferma che “non ci sono più target da colpire, ma persone con cui risuonare” (Cova, Giordano, Pallera 2008, p. 77).



In conclusione, l’orientamento che si propone è forse un buon compromesso tra marketing non-convenzionale e physioeconomia, dal momento in cui - seguendo una linea di pensiero ampiamente accettata nel marketing internazionale - si connotano i target come persone piuttosto che come bersagli di azioni di mercato, e ripensando i mercati come gruppi sociali di cui i target sono elementi costituenti. Questo sistema di guardare ai mercati si basa su parametri che non sono più solo economici e politici, ma che si allargano a quelli sociali, psicologici e culturali, senza soluzione di continuità. La proposta si estende alle teorie proprie del marketing non-convenzionale (Venkatesh e Penaloza 2006, Locke et al., 2001), esattamente come l’estraneità dei mercati internazionali appare motivata più da ragioni culturali che non eco-politiche (tanto più in epoca di economia globale) e l’identificazione dei target-persone potrebbe venire fatta su basi culturali e psico-sociali come proposto dalle teorie physioeconomiche.












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